«Grazie ai robot l'errore medico è sceso dal 12 per cento all'uno»
Il primario dell'EOC Andrea Cardia racconta le nuove sfide
Non ha un cuore e non prova sentimenti. Non è autonomo e ha bisogno d’essere governato dall’uomo. Ma è utile e preciso. Va a colpo sicuro. «Il robot di ultima generazione è un prodotto di altissima tecnologia e ci spinge verso la frontiera della medicina», racconta il dottor Andrea Cardia, 49 anni, primario di neurochirurgia all’Istituto di Neuroscienze cliniche della Svizzera Italiana (INSI) dell’Ente ospedaliero cantonale. Cardia, specializzato in neurochirurgia vascolare oncologica e spinale, osserva con curiosità e attenzione lo sviluppo della robotica applicata alla sanità. Laureato alla Facoltà di medicina di Cagliari (una delle più antiche, è nata nel 1626) e specializzato presso l’Università degli studi di Milano, prima di giungere a Lugano era responsabile della Neurochirurgia oncologica e vascolare all’Humanitas di Milano. Ha effettuato fellowship presso il Karololinska Institute di Stoccolma, il Mount Sinai a New York, e presso l’Università di Peoria (Chicago, Illinois). È autore di diverse pubblicazioni scientifiche. Ha insegnato in diversi istituti da Salisburgo a Vienna. Insegna nel Master in Medicina dell’Università della Svizzera italiana. «La neurochirurgia - spiega Cardia - è una scienza indissolubilmente legata alla tecnologia, perché ha bisogno di strategie cliniche capaci di ridurre il più possibile il margine di errore. Con i nuovi programmi informatici e le macchine, dagli anni Novanta in poi c’è stata una evoluzione costante e grazie a sistemi cosiddetti di neuronavigazione computerizzata, alle immagini in 3D della TAC intraoperatoria siamo riusciti a ridurre il rischio sia in campo spinale che cranico».
Meno tempo di degenza
Ridurre l’errore umano, i tempi di degenza ospedaliera e i costi sociali, sono gli obiettivi che cliniche e ospedali si sono dati ormai da tempo. E questo perché la ricerca medica ha viaggiato parallelamente allo sviluppo della tecnologia. «Abbiamo sostanzialmente attraversato tre fasi: la prima - spiega ancora il dottor Cardia - è arrivata grazie alla fluoroscopia, una tecnica radiologica per ottenere immagini in tempo reale, la seconda con la messa a punto di sistemi di navigazione avanzati e poi sono giunti i robot che ci hanno consentito di abbassare ancor di più la percentuale di errore chirurgico, ad esempio per quanto riguarda l’inserimento di viti spinali. Senza sistemi di navigazione solo con il posizionamento a mano libera con fluoroscopia, registravamo un 12 per cento di malposizionamento di viti, con navigazione e tac operatoria il margine si è contratto arrivando al 3 per cento e con i robot invece siamo giunti all’1 per cento. Chiaro, il campo delle patologie spinali è po’ più complesso perché non c’è solo un discorso di posizionamento accurato di viti ma anche di indicazione. Abbiamo fatto passi avanti notevoli e ormai abbiamo raggiunto dei buoni standard che sono una garanzia per il paziente. Quando invece si registra un errore spesso il responsabile è l’operatore che, ad esempio, salta uno dei passaggi o non rispetta l’angolo consentito».
La tecnologia GPS
Oggi si opera ormai attraverso la tecnologia GPS (dove un braccio robotico si muove inizialmente attraverso un pedale e poi con dei manipolatori simili a joystick) sul corpo del paziente e guida con una precisione millimetrica la mano del chirurgo che va a inserire le viti. «È un po’ come il Tom Tom dell’auto - spiega ancora il neurochirurgo - che ti porta dritto a destinazione dopo aver inserito un indirizzo. Segui sullo schermo la struttura anatomica del paziente e trovi il punto preciso dove intervenire. Lo stesso succede per le biopsie cerebrali. Ma prima di partire devi sapere che nessun caso è uguale a quello precedente e dunque serve attenzione, competenza e concentrazione». Sino a vent’anni fa tutto questo era impossibile. Oggi, tra l’altro, dopo due giorni (in media) se va tutto bene il paziente è fuori. «Da noi - precisa Cardia - si effettuano circa 1.300 interventi generali all’anno; nel campo spinale siamo intorno 700-800».
All’EOC da tempo esistono tre sale operatorie attrezzate, una ibrida, dove è possibile compiere interventi multidisciplinari con i neuroradiologi, mentre le altre due sale sono attrezzate con TAC intraoperatoria e neuronavigatori. Da un po’ di tempo si sta riflettendo se acquistare un robot di ultima generazione. Macchine molto raffinate che hanno un costo fra 900 mila franchi e un milione.
«Però bisogna calcolare che si risparmia sui tempi d’intervento, si riducono gli errori, ci sono benefici concreti per i pazienti: sicuramente è un investimento sostenibile. Solo con l’alta tecnologia sei competitivo», spiega ancora il dottor Cardia. Perché un altro dei vantaggi della robotica clinica è il fatto che se da una parte ha portato alta precisione, dall’altra ha ringiovanito moltissimo le équipe operatorie. Insomma si potrebbe dire che il robot è democratico. In neurochirurgia per tanto tempo più un intervento era complicato e più veniva affidato a chirurghi esperti. Oggi con la chirurgia robotica quasi tutti sono in grado di compiere un intervento anche se non c’è il primario o l’aiuto primario. In campo craniale una delle indicazioni della robotica attualmente è su biopsie e neurochirugia funzionale come per esempio il Parkinson. Più complicato è invece l’impiego delle macchine per gli interventi sui tumori cerebrali, perché bisogna fare i conti con un tessuto molto particolare. «Non hai la possibilità di lavorare in una cavità vuota come l’addome, e dunque il braccio meccanico non avrebbe valore aggiunto perché bisogna tenere conto che per questi interventi sei davanti a decine di variabili».
Il campo di competenze
Il medico grazie alla ricerca e all’informatica ha allargato il suo campo di competenze. «E di apprendimento, direi anche. Oggi ci sono molti "simulation center", centri dove puoi misurare la preparazione dei giovani chirurghi e valutare un po’ tutti gli aspetti, come succede con i simulatori di volo. Non solo. Puoi anche capire come si può evolvere una situazione clinica, ad esempio un problema cranico o una deformità spinale. Inizialmente ci vuole pazienza perché magari le operazioni durano di più, c’è una curva di apprendimento più lunga, ma man mano che si va avanti i tempi si riducono. E con loro i rischi».
Ma se si supera questa frontiera, un giorno saranno i robot a operare? «No - risponde deciso Cardia - la macchina è una ottima guida ma è un come il «drive assist» dell’auto. Va bene, per carità, ma le mani dal volante non è il caso di lasciarle. La supervisione umana sarà sempre necessaria. Però bisogna sapere che questa è la strada, che la tecnologia ha lanciato una sfida alla medicina e noi dobbiamo accettarla».
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Questo articolo copre i seguenti SDG
Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) sono 17 obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile concordati dagli Stati membri dell'ONU nell'Agenda 2030 e riguardano temi quali la riduzione della povertà, la sicurezza alimentare, la salute, l'istruzione, l'uguaglianza di genere, l'acqua pulita, l'energia rinnovabile, la crescita economica sostenibile, le infrastrutture, la protezione del clima e la tutela degli oceani e della biodiversità.
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