L'immigrazione è un tema molto controverso. Recentemente, è stata lanciata una nuova iniziativa per frenarla.
«Senza immigrazione non riusciremo a risolvere il nostro problema demografico. Non è possibile creare il nostro alto valore aggiunto solo con la manodopera indigena. Le imprese dipendono dall'arrivo di stranieri qualificati. Soprattutto dobbiamo mantenere la libera circolazione delle persone con i paesi dell'UE/AELS. Quattro persone su cinque che arrivano in Svizzera attraverso questa via svolgono un’attività professionale. Il loro tasso di occupazione è addirittura leggermente superiore a quello dei cittadini svizzeri.»
I paesi vicini sono confrontati alla stessa sfida demografica della Svizzera. È sufficiente affidarsi alla sola carta dell’immigrazione?
«Assolutamente no. Dobbiamo anche sfruttare meglio il potenziale della manodopera nazionale. Penso, ad esempio, a condizioni quadro che rendano più interessante per donne e uomini lavorare più ore. O agli incentivi per i lavoratori più anziani a rimanere attivi più a lungo. Oggi non è finanziariamente interessante lavorare oltre la pensione. È importante anche aumentare la produttività della nostra economia: più aumenta la produttività, meno radicali saranno le conseguenze del cambiamento demografico.»
Ciò significa che dovremo tutti lavorare ancora più duramente?
«No, gli esseri umani hanno risorse limitate. Ma mentre la produttività di un insegnante o di un'infermiera non può essere aumentata a piacimento, ciò è perfettamente possibile per le macchine, le apparecchiature mediche, i servizi finanziari, gli orologi, i medicamenti o i veicoli. In questi settori l'economia svizzera è forte e competitiva a livello internazionale. Per farlo, però, ha bisogno di condizioni quadro ottimali, come alti livelli di investimento nella formazione e nella ricerca competitiva, nonché l'accesso a programmi internazionali come "Horizon Europe". Ma anche la densità normativa influenza la produttività. La nostra ambizione deve essere quella di avere un numero minore di regolamenti statali, più leggeri e più pragmatici rispetto ad altri paesi.»
Al di là dell’adozione di queste condizioni quadro, quale potrebbe essere il contributo dello Stato?
«Negli ultimi anni, la Confederazione e i Cantoni hanno assunto personale ad un ritmo elevato. Il fatto che la crescita dell'occupazione sia maggiore nello Stato che nel settore privato è un problema, perché questa espansione sta aggravando la carenza di manodopera. È ora di porre fine a questa proliferazione di posti di lavoro. I politici devono smettere di affidare allo Stato sempre più compiti e pensare a cosa si potrebbe fare senza di esso. Inoltre, lo Stato e le aziende statali devono diventare più efficienti: siamo in ritardo per quanto riguarda la digitalizzazione, in particolare nel settore sanitario. Un passo avanti in questo settore contribuirebbe anche ad attenuare la carenza di manodopera.»