Quanto pesa l’impatto dell’industria edile sulle emissioni globali di CO2?
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), l’edilizia incide sulle emissioni globali di CO2 per il 40% circa. Le mie ricerche, invece, indicano una quota decisamente superiore, compresa tra il 50% e il 53%.
Come si spiega questa discrepanza nei calcoli del CO2 tra le sue ricerche e quelle dell’Agenzia internazionale di energia?
L’AIE non tiene conto, se non in parte, di alcune fonti di emissioni, come le infrastrutture, e delle emissioni legate al trasporto. Eppure hanno un ruolo cruciale nei gas prodotti dal settore delle costruzioni. Generalmente si crede che l’installazione del riscaldamento e dell’acqua calda siano responsabili della maggior parte delle emissioni dannose per l’ambiente. E per questo esistono disposizioni in materia di efficienza energetica degli edifici. Ma le cause dell’impronta di carbonio generata dagli immobili sono di varia natura. Una quota elevata delle emissioni ha origine dalla produzione del materiale edile, dalla sua trasformazione in componenti e installazione in edifici o infrastrutture nonché da tutte le fasi del trasporto.
Secondo lei quali misure concrete sono necessarie per ridurre in maniera efficace queste emissioni?
Occorre dare priorità a materiali la cui produzione generi una quantità minima o nulla di emissioni climalteranti. E a materiali, anche riciclati, disponibili sul territorio – locale o regionale – e che non devono essere trasportati su grandi distanze. Per questo sono della convinzione che in futuro si ricorrerà con maggiore frequenza a un mix di materiali – anche per l’opera grezza. Inoltre dobbiamo valutare il ciclo vitale di un immobile nella sua interezza chiedersi che fine farà più di quanto non si stia già facendo.
Che fine farà?
Nel sud della Germania, per esempio, il materiale di risulta spesso non può più essere smaltito nei siti di discarica perché sono già ai limiti delle loro capacita. Quindi si opta per trasportarlo, per esempio, nella Polonia meridionale. Se però un metro cubo di calcinacci viene trasferito da Monaco a una destinazione a diverse centinaia di chilometri di distanza, per questa tratta il camion genera una quota di gas serra simile a quella emessa durante la produzione della stessa quantità di calcestruzzo. Le emissioni attribuibili al trasporto, quindi, devono sempre essere incluse nel calcolo della sostenibilità dei nostri immobili. A questo vanno sommate l’attività richiesta per riciclare un’opera demolita e le emissioni che ne derivano.
Se prendiamo l’intera catena produttiva, quali sono a suo avviso i materiali edili più sostenibili?
Non esistono materiali buoni o cattivi tout court. Ciascuno deve essere valutato nel suo contesto. Le faccio un esempio: il legno è sostenibile se proviene dalla regione e se la quantità di materiale perso lungo la catena produttiva è minima. Nel caso dell’acciaio la valutazione ecologica dipende in larga misura dalla modalità di produzione, analogamente al calcestruzzo, le cui emissioni di CO2 possono essere ridotte anche con cementi a bassa impronta di carbonio e un uso più parsimonioso, come per esempio il Gradienten-Beton, uno speciale calcestruzzo con diverse porosità.