Logo image
Johanna Gollnhofer mostra come funziona il marketing dei consumi «verde». Foto: PD

Johanna Gollnhofer mostra come funziona il marketing dei consumi «verde». Foto: PD

Società

Invogliare agli acquisti sostenibili!

Perché è così difficile convincere la stragrande maggioranza della popolazione a cambiare abitudini di consumo? E a cosa dovrebbero fare attenzione le imprese? Risponde Johanna Gollnhofer, docente di marketing all’Università di San Gallo.

2

Condividi
Ascoltare
Logo image

Invogliare agli acquisti sostenibili!

Condividi
Ascoltare

6 Min.  •   • 

Molte persone ritengono che la sostenibilità sia giusta e importante. Poi però davanti allo scaffale del supermercato finiscono per comprare prodotti convenzionali. Perché?

Johanna Gollnhofer: Quello a cui si riferisce è il famoso attitude-behavior gap, ovvero la mancata corrispondenza tra ciò che i consumatori riportano e le loro scelte effettive. È un fenomeno che emerge in maniera chiara nei sondaggi: molti dichiarano di valutare positivamente la sostenibilità e i consumi green e di essere favorevoli alla tutela dell’ambiente. Poi però né i consumi di carne, né il numero di voli diminuiscono, nonostante il cambiamento climatico. Al contrario.

Forse il consumatore non si rende conto di cosa significhi la sostenibilità?

La questione non è così semplice. Le faccio solo un esempio: cos’è più sostenibile? Un cetriolo avvolto in una pellicola in plastica o uno privo di imballaggio? Ora, chi vorrebbe meno microplastiche possibili nei mari è convinto di comportarsi in maniera sostenibile scegliendo un cetriolo senza la plastica. Chi invece vuole ridurre lo spreco di cibo, preferisce il cetriolo avvolto nella plastica che contribuisce a farlo durare di più. La domanda basta da sola a far capire quanto è complesso il tema. Neanche gli esperti sono concordi. E se non lo sono loro, come possiamo aspettarci che sia il consumatore finale a sapere cosa deve fare e a pretendere che faccia le scelte giuste mentre fa la spesa al supermercato?

Non possiamo certo mettere tutti i consumatori nello stesso calderone. Quali sono le differenze?

Distinguiamo fra tre gruppi. Il primo è quello che io chiamo gli «eco-fan», che costituiscono il 20% circa dei consumatori. Sono già convinti dei prodotti sostenibili e acquistano tutto quello che ha l’aspetto del bio o del sostenibile. Poi c’è anche il gruppo opposto, che non ha alcun tipo di interesse per la sostenibilità e che costituisce un altro 20%. Il restante 60% è costituito dal cosiddetto grande pubblico che vuole essere sostenibile ma non sa di preciso in che modo. È a loro che dobbiamo arrivare.

«Puntare il dito non è una buona idea.»

Il suo obiettivo, come scrive nel libro, è avviare una trasformazione green anche nei comportamenti di acquisto. Come intende riuscirci?

È qui che per me entra in gioco la magia del marketing che può contribuire molto alla trasformazione verde. Il compito centrale è far venir voglia al grande pubblico di prodotti più ecologici e rispettosi delle risorse, sbarazzandoci al tempo stesso delle associazioni negative che li circondano.

Cosa intende di preciso?

Le faccio un esempio: se su una confezione di biscotti c’è stampata la scritta «vegano», la maggior parte della gente non li comprerà perché associa la parola «vegano» a un’idea di rinuncia. Ma se le persone vogliono i biscotti è per concedersi un piacere, non per fare una rinuncia. Le due cose non vanno d’accordo. Lo stesso ragionamento vale anche per i prodotti sui quali c’è la scritta «sostenibile », che non fa tanta presa sul grande pubblico.

Che ruolo ha il marketing in questo caso?

Il suo compito è di far decollare i consumi, cosa che però nel dubbio va a discapito dell’ambiente. L’idea alla base del marketing è vendere. E per vendere bisogna andare incontro ai bisogni dei consumatori – oppure crearne di nuovi che prima al massimo erano solo latenti. Come funziona questo meccanismo ce lo ha mostrato Apple. Ogni due anni l’impresa riesce a persuaderci del fatto che abbiamo assolutamente bisogno di un nuovo smartphone, invitandoci a compiere un gesto che è tutto tranne che rispettoso delle risorse. E che in più inquina anche l’ambiente. Ecco perché da qualche anno ci stiamo chiedendo qual è il ruolo del marketing in una società sostenibile. La leva più importante sulla quale possiamo agire è far sì che i consumatori finali siano attratti da alternative più sostenibili.

Come può funzionare?

Si tratta prima di tutto di creare accettazione. Tanto per iniziare si potrebbe evitare, quando si fa pubblicità di prodotti sostenibili, di ricorrere a immagini negative come quella dell’orso polare che sta per morire e ad affermazioni come «Abbiamo un solo pianeta». Il loro effetto è controproducente, tanto quanto gli appelli del tipo «Salviamo il pianeta!». Una comunicazione di questo tipo sui prodotti sostenibili può piacere agli ecofan, ma non al grande pubblico che penserà: «Ho già abbastanza problemi per conto mio per pensare anche di dover cambiare il mondo». Tanto più poi che a nessuno piace sentirsi dire cosa deve fare o non fare. Puntare il dito non è una buona idea.

È più sostenibile comprare un cetriolo con o senza la pellicola in plastica?

Foto: PD

È più sostenibile comprare un cetriolo con o senza la pellicola in plastica? Il grafico è tratto dal libro «Das 60%-Potenzial: Mit Marketing für grünen Konsum begeistern» di Johanna Gollnhofer e Jan Pechmann, edito da Campus, 2024 (disponibile in tedesco).

E allora in che modo possiamo far presa sul consumatore?

Come sappiamo, la sostenibilità è solo al quarto o al quinto posto tra i criteri di acquisto. I parametri decisivi sono il prezzo, la qualità e il lifestyle personale. Dobbiamo quindi rivolgerci ai consumatori in una maniera diversa, ponendo l’accento su questi criteri in modo mirato. Molte aziende non ci riescono: pur sapendo di dover creare maggiore accettazione nei confronti dei prodotti green, cadono nel tranello dell’ecologia e scelgono per i loro prodotti le tonalità del verde, del blu o del marrone, che dovrebbero veicolare un’idea di ambiente. La scelta potrebbe piacere agli eco-fan, ma non attira il grande pubblico che dice: «Voglio un prodotto che sia adatto a me e anche bello da vedere».

Può farci un esempio?

Il caso di Magnum è emblematico. È da 20 anni che il brand di gelati investe per produrre in maniera vegana il suo gelato alla vaniglia. Agli inizi il prodotto veniva pubblicizzato con i classici colori verdi, con tanto di scritta «vegan» che piaceva agli eco-fan ma non al grande pubblico. Poi c’è stata una svolta nella comunicazione: il verde è sparito ed è stato sostituito da un viola brillante. La scritta «vegan» è passata in secondo piano. E in primo piano è stata messa la sensazione che provo ogni volta che ho un Magnum sulla lingua.

Può farci anche un esempio interessante proveniente dalla Svizzera?

Prendiamo il caso Weleda. L’azienda ha sempre avuto un DNA spiccatamente verde e sostenibile. Quando le vendite di prodotti di cosmesi naturale non andavano più così bene, hanno deciso di sostituire il team direzionale assumendo manager che venivano da società come Douglas e Nivea, due brand che incarnano prodotti rivolti al grande pubblico. Questo cambio ai piani alti è oggi evidente anche nella comunicazione di Weleda, che prima era un po’ datata. Ora Weleda pubblicizza i suoi prodotti su TikTok assieme a influencer con un taglio lifestyle, orientato alle aspettative dei consumatori e meno a una determinata ideologia.

Che altri consigli darebbe ai responsabili delle aziende?

Oggi si vedono molte aziende che stanno rivedendo o riducendo i loro obiettivi di vendita di prodotti sostenibili. Pare manchi semplicemente la richiesta da parte dei consumatori. A queste aziende consiglio di puntare di più su quel potenziale 60% di cui parlavo prima e di ripensare il loro modello di business. Iniziando già dai prezzi. Se un consumatore appartenente a quel 60% ha in una mano una confezione di salsicce di tofu e nell’altra una di salsicce di San Gallo, se la carne costa di meno, sceglierà il prodotto a base di carne. Dai sondaggi emerge che le persone sono disposte a pagare anche una maggiorazione del 50% pur di avere prodotti sostenibili. Peccato però che la realtà sia ben diversa.

Questo articolo copre i seguenti SDG

Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) sono 17 obiettivi globali per lo sviluppo sostenibile concordati dagli Stati membri dell'ONU nell'Agenda 2030 e riguardano temi quali la riduzione della povertà, la sicurezza alimentare, la salute, l'istruzione, l'uguaglianza di genere, l'acqua pulita, l'energia rinnovabile, la crescita economica sostenibile, le infrastrutture, la protezione del clima e la tutela degli oceani e della biodiversità.

12 - Consumo e produzione responsabili
13 - Lotta contro il cambiamento climatico

Pubblicità

Articoli popolari

Articoli consigliati per voi

Chief Sustainability Officer: indispensabile o superfluo?
Economia

Chief Sustainability Officer: indispensabile o superfluo?

Un’alimentazione sostenibile ha bisogno di divieti e tasse?
Produzione e consumo

Un’alimentazione sostenibile ha bisogno di divieti e tasse?

«Gli acquisti sostenibili non devono necessariamente essere costosi»
Produzione e consumo

«Gli acquisti sostenibili non devono necessariamente essere costosi»

Articoli simili

Foto: Lidl Svizzera
Produzione e consumo

La sostenibilità nel menu

Foto: Shutterstock
Produzione e consumo

Gli effetti dei nostri consumi

Proteine alternative: un bene per i consumatori, le imprese e il clima
Produzione e consumo

Proteine alternative: un bene per i consumatori, le imprese e il clima