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Foto: Clearspace

Con i suoi bracci robotici ClearSpace-1 dovrà rimuovere dall’orbita terrestre satelliti difettosi e grossi detriti.

Spazi vitali

Operazione pulizia

I rifiuti sono ovunque – in mare come nello spazio. Ora si vuole rimuovere questa nostra eredità tossica grazie a soluzioni innovative. L’operazione di pulizia spaziale vede in prima linea anche l’EPFL.

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Operazione pulizia

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Il conto alla rovescia è iniziato: nel 2026 prenderà il via – e si spera faccia scuola – una missione spaziale finora unica nel suo genere. Se tutto andrà come previsto, il satellite ClearSpace-1 verrà mandato in orbita per effettuare con i suoi quattro giganteschi bracci robotici un’operazione di pulizia su larga scala. Il suo primo compito consisterà nel recuperare un relitto di Vega, il razzo dell’ESA.

I rifiuti spaziali sono un pericolo costante. L’Agenzia spaziale europea (ESA) stima che in orbita ci siano circa 34 000 detriti di diametro superiore ai 10 cm. Se a questi si sommano i frammenti più piccoli, la cifra sale addirittura a 150 milioni. Viaggiando intorno alla Terra a 28 000 km/h, questi oggetti si trasformano in veri e propri proiettili che minacciano stazioni spaziali, satelliti e astronauti.

Preso atto del problema, l’ESA ha dichiarato guerra alla nuvola di rifiuti spaziali generata dall’uomo. Ad aggiudicarsi il primo appalto per un progetto di questo tipo è stato il consorzio internazionale guidato da ClearSpace, una start-up dell’EPFL. Una delle maggiori sfide della missione è di tipo tecnico: con i suoi sensori lo spazzino spaziale sviluppato da ClearSpace dovrà infatti individuare l’obiettivo e, con movimenti di precisione, avvicinarsi quanto basta per afferrare il detrito o il satellite dismesso senza però urtarlo. A questo scopo verranno applicate anche procedure basate sull’intelligenza artificiale.

Effetti drammatici

Oltre che nello spazio, l’EPFL è in prima linea anche quando si tratta di ripulire il Pianeta. Quello che le équipe di ricercatori di varie discipline sono chiamate a svolgere è un lavoro titanico: viviamo nell’antropocene: l’era in cui l’uomo sta trasformando la Terra in modo profondo e irreversibile, con effetti drammatici interdipendenti e che si rafforzano l’uno con l’altro, p. es. il surriscaldamento globale, la rapidissima estinzione delle specie e la diffusione di rifiuti su larga scala – dalla Fossa delle Marianne allo spazio passando per l’Everest. Questo nostro lascito avvelena il suolo e finisce in fiumi e falde acquifere, ma anche negli oceani, dove rappresenta una minaccia per molti mammiferi marini ed ecosistemi. La decomposizione dei rifiuti nelle discariche genera il metano, che secondo le stime sarebbe responsabile di oltre il 5% delle emissioni mondiali annue di gas serra e nei prossimi decenni dovrebbe determinare un aumento degli equivalenti in CO₂ pari a un miliardo di tonnellate.

«In proporzione il Lago di Ginevra contiene quasi tanta microplastica quanto gli oceani.»

Acque velenose

Qualche cifra: ogni anno nel mondo vengono prodotti più di due miliardi di tonnellate di rifiuti solidi e, stando alle stime, tra meno di 30 anni si potrebbe arrivare a 3,4 miliardi di tonnellate. A questo problema e a quello dei siti contaminati si può fare fronte solo cambiando comportamento e ricorrendo a nuove tecnologie. Ognuno di noi può contribuire alla grande operazione di pulizia planetaria, ridurre i consumi personali e resistere alla mentalità dell’usa e getta tanto diffusa in Occidente. Nel concreto ciò significa non avere troppa fretta di scartare oggetti di uso quotidiano per sostituirli con modelli nuovi.

Gli elettrodomestici dismessi, p. es., non sono spazzatura: contengono metalli preziosi. Ogni smartphone racchiude un piccolo tesoro fatto di oro, argento, rame, alluminio, nichel e terre rare.

Eppure si stima che ogni anno finiscano tra i rifiuti quantità di oro per un valore di oltre dieci miliardi di euro – uno spreco incredibile. Un progetto dell’EPFL guidato dalla professoressa Wendy Lee Queen mira ora a cambiare le cose. L’équipe di ricercatori ha messo a punto un nanomateriale estremamente poroso e permeabile «in grado di estrarre molecole specifiche da miscele liquide». «A seconda della composizione, può filtrare in modo altamente selettivo oro e altri metalli preziosi, ma anche biossido di carbonio».

Focus sul cibo

Un’altra preziosa risorsa che fin troppo spesso finisce nella spazzatura è il cibo. Stando alle stime, ogni anno soprattutto nel privato si gettano via più di 900 miliardi di tonnellate di generi commestibili, ossia quasi 1/5 della produzione alimentare mondiale. Spesso si tratta di prodotti di qualità ineccepibile, ma scaduti. Un’équipe dell’EPFL che si occupa di nanobiotecnologia sotto la guida della professoressa Ardemis Boghossian ha perciò sviluppato un nuovo tipo di sensori in grado di monitorare in tempo reale la freschezza degli alimenti.

Per mettere a punto soluzioni innovative a problemi ambientali complessi bisogna muoversi per tempo. L’EPFL propone perciò corsi – addirittura obbligatori per gli studenti di bachelor – in materia di «Global Issues» su temi quali alimentazione, energia, clima e trasporti. E come di recente dimostrato da un giovane team dell’EPFL in un concorso internazionale, questa è una scelta che paga.

Per tenere lontane le infezioni fungine, nelle vigne come nelle piantagioni di tè vengono spesso usati pesticidi. Questi contengono rame che può infiltrarsi nel terreno e nuocere alle piante più giovani. Sotto la guida di Brian McCabe, neuroscienziato dell’EPFL, il team ha messo a punto CuRe: un sistema a base di lievito capace di rimuovere dal suolo il rame in eccesso.

Video: ClearSpace
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ClearSpace

ClearSpaceLaunch

Pericolose particelle in acqua

Non meno degno di nota è il lavoro di una spedizione in barca a vela organizzata nel Mediterraneo dalla non-profit SEA Plastics e alla quale hanno preso parte cinque giovani scienziate tra cui una studentessa dell’EPFL in veste di responsabile scientifica. La spedizione non è stata esattamente un viaggio di piacere: in poco tempo andavano raccolti i campioni d’acqua che sarebbero stati analizzati a terra per valutare il tenore e le varianti di microplastica in essi presenti. Stabilire come si diffondono e interagiscono con l’ambiente le particelle pericolose e perlopiù quasi invisibili è essenziale.

Oltre alla microplastica nelle nostre acque si trovano metalli pesanti, medicamenti, pesticidi e microbi patogeni. «Non dico che tutti i microinquinanti presenti in acqua provengano dall’uomo», spiega il professor Florian Breider, responsabile del laboratorio ambientale centrale dell’EPFL che ha prestato supporto scientifico alla spedizione nel Mediterraneo. «Ma nel 99,99% dei casi è così».

E tutti i microinquinanti sono potenzialmente nocivi, che si tratti di sostanze chimiche direttamente tossiche, di virus infettivi o di principi attivi medicinali che alterano l’equilibrio ormonale degli animali. I problemi nascono già a due passi da casa: «Le nostre ricerche», spiega Breider, «hanno evidenziato che in proporzione il Lago di Ginevra contiene quasi tanta microplastica quanto gli oceani».

Foto: EPFL

EPFL

Ricerca sui materiali in laboratorio: Wendy Lee Queen, professoressa dell’EPFL

Stock sotterranei di CO₂

Alla plastica non potremo rinunciare del tutto neanche in futuro. Forse però riusciremo a riciclarla meglio. Il problema è che nei rifiuti i vari tipi di plastica si mischiano – e ad oggi ciò complica il riciclaggio del PET. DePoly, uno spin-off dell’EPFL, ha perciò messo a punto una procedura ecologica che separa e ricicla il PET in modo selettivo, anche se è mischiato ad altre plastiche: un passo importante verso un’economia circolare quasi a zero rifiuti e che ridurrebbe il consumo di risorse ed energia tutelando quindi il clima. Secondo i dati di DePoly ogni tonnellata di plastica riciclata comporta non solo meno rifiuti plastici in discariche e oceani, ma anche il risparmio di una quantità di energia pari a quella consumata in un anno da quattro economie domestiche europee, 18 barili di olio combustibile bruciato o dieci passeggeri su un volo Londra-New York.

Anche riuscire a filtrare dall’atmosfera e immagazzinare il biossido di carbonio già emesso gioverebbe all’ambiente. «Ovunque nel mondo i depositi sotterranei sono visti come la migliore soluzione», spiega il professor Lyesse Laloui, responsabile del laboratorio di meccanica del suolo dell’EPFL. «Stiamo lavorando a una soluzione che permetterebbe di ridurre di 500 volte il volume di biossido di carbonio. Un passo necessario, visto che ogni anno andrebbero immagazzinati milioni di tonnellate di CO₂».

Dichiarazione: Questo contenuto è stato creato dalla redazione di Sustainable Switzerland su incarico di EPFL.

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